Come cominciava il mese ottobrino, la famiglia Forni si preparava per l’attraversamento della “sertura” – come chiamavano la selva – e la raccolta semi clandestina delle castagne.
I Forni appartenevano ad una famiglia di eccellenti cantori di storie di orrori con tanti di morti ammazzati che circolavano per casa, veri e propri fantasmi in libera uscita. L’intera famiglia era costituita da Michele ragazzo dodicenne, mio amico e quasi coetaneo, dalla mamma, una signora di polso di sicura origine campagnola e due figlie più piccole un po’ anonime. Il signor Forni compariva solo di sera quando rientrava dalla miniera stanco e spesso arrabbiato. Incuteva rispetto più che paura con quell’aspetto da omone massiccio, parlava poco era sempre impegnato in un lavoro manuale.
Nel corso di tutto il mese vedevo scendere il quartetto Forni in fila indiana ed avviarsi verso la “sertura” detta del “curt curt”, che nessuno aveva mai visto e tutti lo immaginavano non altissimo.
Il Gruppo Forni era attrezzatissimo: scarponi da montagna, maglione dolce vita e tutti avevano in dotazione un cestino di vimini dove ognuno sperava di riempire con grosse ed appetitose castagne. La guerra era terminata da poco ma non ci eravamo ancora liberati dalla paura e sopratutto dalla fame. Per una forma di cortesia e forse di rispetto non mi avevano mai invitato ad andare con loro ma quel giorno Michele doveva aver insistito molto e così la Signora Forni bussò dai miei e chiese il permesso a mia madre di avermi con loro.
Così anche io ebbi il mio cestino di vimini di cui ero orgoglioso.
Mi attaccai alla mano del mio amico e ci incamminammo verso l’obiettivo. Le mattine autunnali al mio paese sono sempre umide e la nebbia è una costante da non sottovalutare per i cercatori di castagne. La Signora Forni – chiamata e conosciuta come zia Anna – per tutto il percorso si assicurò costantemente del mio stato di salute ed in particolare si accertò che non avessi subito alcun danno nell’attraversare i sentieri pieni di rovi e sterpi di varia natura.
Quando finalmente ci apparve la “selva oscura” ebbi un fremito di piacere e di paura ma guardai Michele e mi rassicurai. Michele era poco più grande di me ma aveva una forza fisica da lottatore ed una sicurezza in quel che faceva che mi dava forza e coraggio.
Le castagne, come si sa, sono protette da una camicia di pungiglioni che solo una mano esperta è in grado di aprire e tirarne fuori il tesoro che conserva: naturalmente io risultavo il meno esperto e meno capace.
La selva mi attraeva per altri motivi: nella mia fantasia era la jungla di Tarzan e vedevo già il rustico uomo scimmia saltare da un albero all’altro con la mitica Cita.
C’era un silenzio tombale intercalato da un cinguettio di uccelli e da un mormorio lento e stanco di foglie spinte dal vento. Quando ci giunse il suono delle campane della Chiesa Madre era mezzogiorno e come speravo mangiammo dei panini che avevamo portato da casa. Verso il pomeriggio tornammo e prima di affrontare le scale “zia Anna” volle assicurarsi del mio stato fisico ed accertare la quantità di castagne raccolte.
Stato fisico,eccellente. Raccolta castagne poco più di zero.
Le figlie e Michele avevano fatto il tutto esaurito, i cestini risultavano colmi.
Mi veniva quasi da piangere perché sentivo di aver fatto una pessima figura nei confronti di Michele che era orgoglioso della mia amicizia.
“Zia Anna” comprese la mia imbarazzante condizione e mi riempì il cestino con le sue castagne, poi mi accarezzò e disse: “Però per essere il primo giorno sei stato molto bravo, vedremo domani come te la caverai.”
Quel giorno lo ricordo sempre con piacere avevo finalmente conosciuto la “sertura” e mi ero conquistato la fiducia di tutti.
Prima di separarci vidi che zia Anna mi guardava divertita, mi avvicinai a lei e con le mani cercai di farla abbassare fino alla mia altezza e quando la raggiunsi la baciai sulle guance e scappai subito a casa.
Non ricordo il perché ma so che da allora non sono andato mai più a cercar castagne.
Michele appena maggiorenne partì per gli Stati Uniti e di lui non seppi più niente.
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