Sembra impossibile, lo so.
Perché non si è mai sentito che una doccia abbia il potere magico di trasportarti nel tempo e nello spazio.
Eppure io continuo a viaggiare, dentro il getto tiepido della mia doccia marca Inkanto – modello Dream, e così diminuisce il tempo che dedico all’allenamento in palestra: qualche esercizio, tanto per fare, un paio di serie per gli addominali, e poi…
Ha aperto tutti i finestrini. L’aria calda sferza l’abitacolo. Le scompiglia le lunghe ciglia sintetiche e le spazza le perline di sudore sul cranio rasato. Piange. Singhiozza anche il condizionatore d’aria, poi con un ronzio si spegne definitivamente.
L’auto è ferma, io sono al posto di guida (e come al solito non riesco a capire dove sono, perché, chi, ecc.. Un attimo fa vedevo solo vapore e bagnoschiuma).
Getto uno sguardo fuori, è quasi buio, lampeggia un’ambulanza davanti al palco immenso, c’è gente ovunque.
America?
America. Arkansas.
“Capitano? Mi sente?”
Guardo in direzione della voce, alla mia sinistra: una nera, grassa, in uniforme, i miei occhi sono all’altezza della sua targhetta di riconoscimento: Forrest City Police Dept. – Sgt. Rosy Dixon.
Sento parlare la mia voce: “Dica pure sergente”
“Allora, sembra tutto chiaro, si è trattato di un incidente: hanno cominciato il sound check, i tecnici erano in ritardo, sono partiti dalla batteria, poi il basso, l’Hammond. Al momento di collegare il jack della Fender di Tommy Johnson l’amplificatore valvolare ha avuto un corto circuito, lui ha urlato, la scarica l’ha fatto cadere a terra. Fine delle prove, fine del concerto.”
“Fine anche di Johnson?” dico io.
“Ancora non si sa, lo stanno defibrillando, se riesce a cavarsela non suonerà per un pezzo… “poi impreca il sergente Dixon “Saranno contenti quelli del Fronte Bianco!”
E mi passa un volantino pieno di minacce, razziste.
Guardo il sergente, ha i Ray-ban, ed è buio.
“E questa?” indico la ragazza che mi siede vicino.
“L’abbiamo trovata che gironzolava attorno alla roulotte di Johnson, è già stata interrogata”.
Continua a piangere e parla in fretta: “Volevo solo un autografo, ho dato cinque dollari ad un tale della sicurezza perché chiudesse un occhio, poi ho aspettato … ho tutti i suoi dischi, non doveva finire così…” si tormenta l’orlo della maglietta troppo stretta.
“Hai visto o sentito qualcosa?”
Intanto dalle casse, gigantesche, esplode musica, Albert King & Steve Ray Vaughan. La gente vuole entrare, le transenne stanno cedendo.
Devo ripetere la domanda, le urlo “Allora, mi dici se hai visto qualcosa?”.
“Volevo vedere lui, volevo solo un autografo. È uscito dalla roulotte, ma non ce l’ho fatta ad avvicinarmi… allora l’ho seguito vicino fin sopra il palco, c’era un gran casino, nessuno mi ha visto… hanno cominciato le prove… ed è successo che lui … oh mio Dio…”
Singhiozza. Piange. Mi guarda.
“L’ho visto cadere sopra la sua chitarra, diceva “… B. B…. Lucille, Lucille”. Poi l’hanno portato via, e ripeteva Lucille, Lucille. Ho sentito lo stronzo della sicurezza che diceva che Johnson si è sentito male perché ha troppe donne, troppe donne …”
La musica continua, rimbomba nell’abitacolo, chiudo gli occhi, riesco a vedere com’è andata.
Non è stato un incidente.
Ma che profumo ha questa ragazza!
Sembra il mio bagnoschiuma.
“Lucille” è il nome che B.B. King diede alla sua Gibson. Una sera stava suonando in un locale in Arkansas, quando due uomini iniziarono una rissa. Nello scontro cadde un barile contenente kerosene, posto lì per riscaldare l’area, e si scatenò ben presto un incendio. Il locale fu evacuato, ma la Gibson di King era rimasta dentro. Rischiando di rimanere gravemente ferito o di perdere la vita nell’incendio, King si precipitò dentro e la salvò. Ed ecco il nuovo nome: Lucille altro non era che il nome della donna per cui i due uomini stavano litigando.
Sembra una storia vera narrata magistralmente.
Come sempre,top!😜