Questa mattina sono a casa, ho l’influenza e nelle pause tra un decimo di febbre che sale e uno che scende, non sapendo stare con le mani in mano, faccio ordine.
Il mal di testa e i dolori mi fanno compagnia e insieme siamo una bella squadra. A un tratto squilla il telefono e la cosa mi sorprende perché siamo così abituati ai cellulari che, ormai, nessuno più chiama a casa e chi lo fa, inevitabilmente, vuole venderti qualcosa. Rispondo e dall’altra parte una voce giovane di donna vorrebbe da me delle informazioni. Capisco immediatamente di cosa si tratta, le rispondo garbatamente, la faccio parlare e dopo qualche minuto chiudiamo la conversazione.
È settembre, il mese in cui si riprende il lavoro, le normali attività ed è il mese in cui gli agenti immobiliari come cavallini rampanti di una scuderia si rimettono a caccia di buoni affari da proporre che portino un bel profitto alle proprie tasche prosciugate dall’estate appena passata.
Non che abbia grande stima di questi soggetti, ne ho conosciuto qualcuno giusto il tempo per capire che passerebbero addosso alla madre pur di soffiarti “l’affare”. Dalle mie parti si dice che “i sensali” non abbiano cuore e, in parte, chi sceglie di fare questo lavoro non deve farsi tanti scrupoli perché quando si parla di soldi gli scrupoli non sono ammessi. Chi è capace di venderti un tugurio facendoti credere che sia un castello ha delle capacità indiscutibili. Ma non sono le mie.
Anni fa, ne sono passati tanti e avevo perso il conto, ero stufa di stare a casa.
La laurea appesa alla parete invece di rendermi orgogliosa mi faceva imbufalire ogni volta che ci passavo accanto perché sembrava mi prendesse in giro, come a dirmi “Chi te lo ha fatto fare? Come hai osato sognare?” Dei concorsi fatti e superati si erano perse le tracce nei meandri delle graduatorie e della burocrazia che in questo paese sono stati da sempre la vera e l’unica piaga ed io ero stanca di dover sempre essere parcheggiata in sala di attesa.
E allora sai che c’è?
Mi invento un ruolo che non è mio e al quale mai nemmeno avevo pensato e divento per qualche mese consulente di un’agenzia immobiliare. Mi viene affidato l’incarico di chiamare a casaccio dall’elenco telefonico e chiedere, fingendo di avere delle informazioni, se in quella zona ci fosse un immobile da vendere, così “come mi era stato detto”. Capisco immediatamente che non sono tagliata per quel ruolo ma mi dicono “cosa ti importa, mica ti vedono in faccia?” così ci provo.
Riesco persino a trovare qualche piccolo affare e faccio l’unico errore che un agente immobiliare ha imparato a non fare: ne parlo apertamente. Figuriamoci, gli squali sentono da lontano l’odore del sangue e così il capo ufficio, lontano dai miei sguardi e dalle mie orecchie soprattutto, carpisce le informazioni utili e mette a segno il tiro. Io lo saprò solo qualche settimana più tardi e ci rido ancora su quando penso a quanta ingenuità avessi.
A casa mi sentivo come una “casalinga disperata” in cerca di affermazione, il lavoro fatto in casa è ripetitivo, logora dopo un po’, smorza qualsiasi entusiasmo perchè nessuno te lo riconosce, spesso nemmeno i componenti della tua stessa famiglia. Mai una gratificazione per il pranzo pronto, mai un sorriso per la biancheria lavata e stirata alla perfezione, mai grazie per quei cassetti rimessi in ordine dopo le battaglie fatte a suon di calzini e slip. Eppure è il più duro dei lavori, faticoso, pieno di responsabilità e quasi sempre sei sola. E chi pensa che stare a casa sia un privilegio sbaglia e molto, qualche volta è una scelta ma molte volte è l’unica scelta che hai e non fa bene sapere che per la società sei l’ultima ruota del carro. Le casalinghe da sempre sono state il timone delle nostre comunità, hanno permesso a mariti di affermarsi, ai figli di studiare e hanno accettato che le giovani figlie si affrancassero dal destino che era toccato a loro. Sempre in silenzio, sempre un passo dietro a tutti e con grandi sacrifici. Molto ne dovrebbero dire le nostre mamme e le nostre nonne.
Oggi so quanto sia bello potersene stare a casa quando capita, ne apprezzo ogni istante, mi godo la sua tranquillità sapendo che fuori, in quella giungla ci sono ancora quelli che ti chiamano per chiederti se nel tuo condominio si vende un appartamento.
P.S. Poi ho finito per fare l’insegnante…ma quella è un’altra storia.
Non c’era una consapevolezza del valore del lavoro di cura, al tempo delle nostre nonne e mamme. Non c’era fra i destinatari “eletti” di quel lavoro: mariti e figli maschi, ma non c’era – ahimè – fra le stesse donne. Non ho contezza di quanto sia cambiato il mondo in cui viviamo, qui nell’opulento occidente. Non lo so e non voglio nemmeno saperlo per il timore di accorgermi che anche su questo versante molte parole sono state gettate al vento. Sono certo che ancora c’è da fare, a partire da un modello da trasferire ai nostri figli maschi o femmine che siano.
Fa bene discutere di queste cose. Bell’occasione la tua storia!