Il buio mi mette sempre un po’ di malinconia. Io amo la luce, l’aria frizzante della mattina, il sole. Non sono attratta dalla vita notturna, dai locali alla moda; preferisco rimanere nel mio piccolo appartamento, al riparo dalle intemperie della vita. Credo sia questo il motivo che mi spinge a osservare le finestre delle case, quando scende la sera. Guardo quelle luci calde dietro i vetri e immagino quante vite si srotolano giorno dopo giorno dentro ad una stanza. Quante storie da raccontare.
Allora penso a Emma. Abita nell’appartamento di fianco al mio, una donna fragile, magrissima, capelli chiari, occhi celesti.
Ricordo quando tornava a casa dal lavoro, qualche anno fa: la sentivo aprire la porta, c’era incertezza nei suoi gesti, camminava sempre in punta di piedi, come una ballerina. Quando arrivava lui, si scatenava l’inferno.
Ha sempre negato, ma li vedevo, i segni sul suo viso.
Ancora adesso, qualche notte, la sento gridare: un altro dei suoi terribili incubi. Si sveglia tremante, accende la luce e rimane così, un tempo immobile, a guardare il soffitto. Le scorrono davanti agli occhi gli insulti, le botte, tutto l’orrore di quei sei lunghissimi anni.
Le è andata bene: non l’ha ammazzata. È finito sotto un tram, in una fredda notte di dicembre; era uscito di casa come una furia, dopo l’ennesimo litigio, ubriaco come sempre.
“È tutta colpa mia”, continuava a ripetere lei, disperata.
Provava un amore cieco per quell’uomo: un amore a senso unico. Con il tempo ha compreso che era soltanto un amore malato. Ma tutta quella violenza ha segnato la sua anima, la depressione la sta divorando.
Stamattina l’ho incontrata per le scale, aveva un neonato in braccio.
“Il figlio di mia sorella”, mi ha detto, e finalmente ha sorriso.
Qualche volta una nuova vita riaccende la voglia di vivere.
C’è una luce di speranza dietro i vetri della finestra di Emma, questa sera. E un grido nuovo, a spezzare il silenzio della notte: il pianto pieno di vita di una piccola vita.
Emma
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