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Era bella quella nave (3)

E’ il 1981. Mino è primo ufficiale su un rimorchiatore di altura. Vede passare una nave molto bella ma un repentino cambiamento meteo costringe tutti a mettersi in stato di allarme. Poco dopo arriva chiaro e distinto il messaggio di SOS che proviene proprio da quella “bella nave”. Il mare si gonfia spinto da un vento Forza 10: è tempesta. Ma un messaggio disperato viene dalla nave in difficoltà: “ci prepariamo ad abbandonare la nave”.   

E’ un gesto di totale disperazione.

Rivedevo me stesso su una nave, pensavo ai miei amici, ai miei amori, alle mie cose, stava finendo tutto. Guardavo le bianche creste dell’onda spettralmente illuminate dai fanali di testa d’albero. Nella mia mente vomitavo un urlo che esprimeva un sordo furore che stava man mano montando….. chi sei tu per fare tutto questo, chi sei tu per distruggere tante vite perdio chi cazzo sei…mi rivolgevo al mare che adesso sentivo nemico. Come spesso anche quella volta vi era in plancia una perfetta sintonia.

E questo fu, più o meno, il rapido consulto tra Comandante e 1° Ufficiale:

Comandante:Moriranno tutti” 
Primo Ufficiale “Penso che dobbiamo fare qualcosa”
Comandante “Assolutamente, altrimenti chi si guarda più nello specchio?”
Primo ufficiale “Potrebbe anche andare male”
Comandante “Lo so. Tu ne sei cosciente?”
Primo ufficiale “A quelli va male sicuro”
Comandante  “Abbiamo avuto disposizione dall’ufficio di tenere il silenzio radio….a te                 frega qualche cosa?”
Primo Ufficiale “Non me ne frega un cazzo. Quelli adesso hanno solo noi”.
Comandante “O tutti o nessuno?”
Primo Ufficiale “Vai!”
Comandante “Andiamo!”

Le mani si avvicinano lentamente al telegrafo di macchina. Avvisiamo. Preparatevi ragazzi. Facciamo sul serio. E speriamo bene.
E giù, avanti tutta. Solo chi è un uomo di mare riesce ad avere idea di cosa significhi per una unità di 46 metri avanzare con macchine avanti tutta contro una tempesta che ti vomita addosso una media di onda alta più di 10 metri. E’ una follia . Il rimorchiatore grida al mondo la nostra volontà, disperazione per disperazione, venderemo cara la pelle, le turbine urlano, entriamo in un’onda che sembra non voglia finire mai, torna su per Dio torna su, e lui torna salta come un delfino è forte, è disperato, è tutti noi.

“NAVE XXXX DA RIMORCHIATORE ALFA, SIAMO A 4O MIGLIA DA VOI AVANZIAMO ALLA MASSIMA VELOCITA’ POSSIBILE, SAREMO DA VOI IN MENO DI 4 ORE.”

“RIMORCHIATORE ALFA DA NAVE XXXX FATE PRESTO PER CARITA’ RISCHIAMO DI FINIRE SUGLI SCOGLI”

Intanto che avanzavamo verso la posizione avveniva in noi una strana metamorfosi.

Non avevamo più paura, Solo determinazione. Poteva finire male, lo sapevamo, ma non volevamo lasciare alla tempesta, che a questo punto appariva come un essere dotato di propria volontà, la libertà di fare tutto ciò che voleva. Le saremmo costati cari si, molto cari, avrebbe dovuto vomitarci addosso tutto il suo odio per spezzarci -spezzarci non piegare – piegare non più: era una possibilità che avevamo tolto dal tavolo da gioco.

Man mano che ci avvicinavamo si susseguivano le comunicazioni con la nave. Concordammo la manovra di aggancio punto per punto, chiedemmo reciprocamente conferma più e più volte affinché fosse tutto chiaro. Calcolando la velocità di scarroccio della nave sapevamo di avere a disposizione solo un tentativo prima di trovarci tutti troppo vicino agli scogli. Una eventualità del genere era la fine di tutto.

Avanzavamo, assurdamente, visti da fuori dovevamo dare l’impressione di delfini impazziti che si lanciano contro una barriera impenetrabile. Lo scafo vibrava e gemeva, eppure sembrava percorso da un fremito di orgoglio. Siamo ancora qui, non ci siamo ancora fermati, non solo, avanzavamo sorprendentemente veloci….le griselle in sala macchina saltavano via dalla loro sede. Se pur fosse stato necessario, nessun intervento rapido avrebbe potuto essere effettuato. Ma ci sentivamo in guerra, tutto il resto sembrava avesse poca importanza.

Ecco la bella nave dietro il promontorio: Dio come è vicina agli scogli!

Primo Ufficiale: “Comandante, io scendo, mi preparo alla manovra di aggancio.”
Comandante: “Prima di mettere piede in coperta pensa bene a quello che stai per fare. Io posso solo cercare di tenere al meglio il rimorchiatore e portarlo il più vicino possibile alla nave. Se succede qualcosa a poppa non sarò in condizioni di aiutare nessuno”.
Primo Ufficiale: “Staremo attenti”

Il Comandante conduce il rimorchiatore a sfilare sottovento alla nave, vicinissimo, sarebbe bastato uno scherzo del destino a portarci in collisione, ma non avevamo tempo, bisognava avvicinarsi. Eravamo più che certi che non ci fosse il tempo necessario per usare un lancia-sagole, recuperare la sagoletta, far seguire i vari cavi di collegamento e così via..

Un’unica azione folle un colpo da disperati, era la nostra unica possibilità.

Io, il nostromo e due marinai eravamo in coperta protetti dall’archetto che è una struttura che corre da una murata all’altra sulla quale cui scorre il cavo di rimorchio e che viene usata da riparo per evitare di essere colpiti dal cavo o per ripararsi dall’onda che si riversa in coperta.

Di tanto in tanto l’onda si riversava con la sua potenza in coperta costringendoci ad aggrapparci alle strutture per non essere trascinati via. Se fosse accaduto non ci sarebbe stato nulla da fare.
Siamo praticamente immersi in acqua e nulla può l’abbigliamento impermeabile. Eravamo zuppi fradici prima ancora di cominciare.
Un’onda ci solleva quasi a livello della prua della nave, parte un heaving line* che guidato dal vento arriva sul nostro casseretto di poppa. Con un balzo felino il nostromo ci si butta su e lo agguanta a due mani ma in quella un’onda si riversa a bordo e comincia a trascinarlo via.

E’ un film dell’orrore. Mi lancio a mia volta, mi ritrovo sott’acqua, la mano sinistra aggrappata ad un golfare e la destra che stringe in vita il nostromo che rimane lunghissimi secondi in apnea. Un altro marinaio si lancia in soccorso, riusciamo a tenere duro finché l’acqua non defluisce abbastanza, possiamo rimetterci in piedi, prima che arrivi l’onda successiva l’altro marinaio lega l’heaving line* ad una robusta messaggera **.

Vira vira dai, vira su. Ma non possono sentirci, lo sappiamo bene. Ma non c’è bisogno che ci sentano, sono marinai esperti, sanno bene cosa fare, così come non c’è bisogno di comunicare con la plancia il Comandante sa bene cosa sta succedendo, e poi qualsiasi comunicazione sarebbe impossibile, il fragore delle onde che frangono in coperta, l’ululato del vento, le vibrazioni, il ruggito dei motori, nessuna comunicazione sarebbe stata possibile.

Il Comandante vede la ghia** di collegamento con la nave sotto la luce dei riflettori e compie l’ultimo miracolo: riesce a tenere una posizione adeguata per consentire ai marinai sulla prua della nave di virare sulla nostra attrezzatura pesante già connessa col cavo di rimorchio che man mano filiamo da bordo. Se si rompesse la ghia** non avremmo nessuna possibilità di ritentare l’aggancio.

Non ho idea di quanto tempo sia durata quella fase, la logica mi suggerisce da venti a trenta minuti, ma a me è sembrata una notte intera.

A poppa il lavoro è finito. Bisogna solo filare il cavo. Faccio la spola fra la coperta ed il ponte di comando.

“ce la facciamo, coraggio forse ce l’abbiamo già fatta” mi dice il Comandante “è stato grande”.

VAI ALFA ABBIAMO AGGANCIATO VAI TIRATECI FUORI DI QUI”

Il mare, il vento il fragore, in quel momento non sentivamo più nulla. Era come se tutto fosse zittito in un gesto di rispetto per l’intensità di quel momento.

La tempesta sembrava infuriare in silenzio.

“Aspetta, non roviniamo tutto all’ultimo momento, portiamo il cavo d’acciaio a 600 metri poi tiriamo.”°

Gli ultimi minuti , i più lunghi.

Guardo il radar. Noi siamo a mezzo miglio dalla costa con il cavo già lungo. La nave deve essere veramente vicina.

“Frena il verricello presto!” quasi 600 metri di cavo sono fuori. Se tocca il fondo rischiamo grosso.

“NAVE XXXX DA RIMORCHIATORE ALFA, STIAMO TIRANDO”

Ho quasi l’impressione di sentire il gemito del cavo che vibra, si tende ed infine trasferisce tutte le nostre disperate risorse sulla nave.

Eccola che si muove. Si muove.

Nel buio le lacrime scorrevano sulle guance. Nessuno voleva farsi vedere dall’altro. Adesso che ce l’avevamo fatta avvertivamo la stanchezza, sentivamo di averla scampata contro qualcosa tanto più forte di noi.

Ci sentivamo un po’ come ladri, ladri di vita, la nostra vita che avevamo strappato a chi l’aveva in suo assoluto potere.

Io credo che sotto sotto tutti noi, in silenzio, stavamo pregando.

La tempesta continuava ad infuriare, ma sembrava avere l’aria stanca anch’essa.

La nave, la bella nave, adesso era nostra.

“E tu cosa ci farai col tuo compenso?” . Una sonora risata generale spezzò la tensione.

Com’era bella quella nave, sia pur ferita nell’orgoglio, pur non fendendo più le onde con arrogante fierezza restava bella. Sarebbe presto tornata ad esibire il suo orgoglio.

Ma com’era bella quella nave!

(fine)

* heaving line: è una cimetta leggera, max 12 mm di diametro con una palla di corda alla estremità che la rende adatta al lancio e serve per stabilire un primo contatto. Tipicamente i traghetti e le navi in genere, quando ormeggiano, lanciano a terra un heaving line cui è legato il cavo da ormeggio che gli ormeggiatori tirano e mettono alla bitta. L’heaving line ha un carico di lavoro di qualche centinaio di kg.

** messaggera (messenger): definizione anglosassone: è una cima più robusta, dai 20 ai 24 mm di diametro, con un carico di rottura di alcune tonnellate, per il maneggio ti attrezzatura più pesante o impieghi vari in cui maneggevolezza e robustezza sono essenziali. I nostri marinai usano il termine ghia.

° la lunghezza serve a rendere elastica la linea di rimorchio. Un cavo di acciaio di 200 o 300 metri in quelle condizioni si sarebbe sicuramente spezzato per mancanza di peso e quindi di elasticità.

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