Epoca 1981.
Era bella quella nave.
Ci stava sorpassando agevolmente portandosi appresso un’aria di superiorità un che di snob….ma era bella e poteva permetterselo.
Ed era nuova, anche da più di un miglio di distanza sembrava quasi di sentire il profumo di nuovi arredi. La sua prua fendeva la superficie del mare sollevando un’onda alta e spumeggiante in una esplosione di forza ed eleganza che ci lasciava ammirati.
La gente di mare è sempre attratta da una bella nave.
Io credo che venga attirata dalle novità tecnologiche che promettono di rendere il lavoro sempre più umano e nel contempo sempre più interessante e, perché no, dalla tendenza ad un sempre maggior confort che queste nuove navi offrono agli equipaggi.
A qualcuno di noi brillavano un po’ gli occhi per il desiderio inespresso di essere su quella nave invece che su questo rimorchiatore.
Io per la verità non avevo motivi di invidiare alcunché.
Fino a pochi mesi prima lavoravo su navi petroliere di una grossa compagnia americana, in pratica le navi più grandi che mai avessero solcato i mari di questo pianeta, con un livello di confort difficilmente eguagliabile su navi più piccole e con un livello di automazione per quei tempi spettacolare.
Ma avevo scelto il rimorchiatore.
Non so esattamente il perché: forse semplicemente perché il rimorchiatore ha una dimensione più umana o almeno io la percepisco così. E l’impressione persisteva ancora che erano già diversi mesi che lavoravo su quel rimorchiatore. Primo Ufficiale. Ma si, ne ero fiero, e perché no? Certo avevo tanto da imparare, ma avevo un ottimo comandante, un bravo maestro e soprattutto un amico. In più avevamo una straordinaria intesa per cui a volte bastava un gesto perché ciascuno capisse le intenzioni dell’altro e riuscivamo a portare a termine lavori non semplici in maniera che sembrasse normale routine.
Salii su in controplancia per godermi il momento.
Ammiravo da lassù la sagoma del rimorchiatore, grande, aspetto imponente, eppure agile come un delfino, disegnato per stare sull’onda più prepotente, sembrava saldo e forte come una roccia.
“Dai vieni giù, senti un po’ la radio che qui sta arrivando la fine del mondo” mi urla il Comandante.
Un attimo di torpore: una naturale resistenza a ritornare nel mondo reale dove le cose non sono sempre belle e dove le difficoltà esistono sul serio. L’orizzonte netto ed il cielo sereno assumevano adesso un’aria ironica e beffarda come stessero prendendosi gioco di noi.
“Ok scendo scendo… e che sarà mai” dico ridendo…un po’ sul serio, un po’ forzato…non mi piaceva far la parte di chi cade nello scherzo così facilmente….
”be’, qui il radiotecnico sei tu” dice il Comandante, “sul VHF non si sente un piffero, siamo lontani dalla costa”.
Vado dunque in stazione radio accendo il ricevitore principale, sintonizzo:
”avviso di tempesta, avviso di tempesta….tempesta forza 10 prevista…….”.
“Perbacco Comandante, questo fa sul serio …comunque quando si scatenerà noi dovremmo essere in zona ridossata dello Stretto, la facciamo sfogare, ci godiamo lo spettacolo e poi proseguiamo ??….”
“ E certo, che vuoi fare? cacciare la testa nell’inferno senza motivo? ”
” Chi, io? Mmm …. Per carità….eppoi prima dei 30 anni dicono che li ributtano indietro “
Ridevamo di gusto alle battute che ci scambiavamo a raffica. E così avevamo messo sotto i piedi ansie e timori, e ci davamo arie da uomini duri…..la fifa ce la seppellivamo dentro, per amore o per forza, e comunque il fatto di non avere necessità di affrontare la tempesta mi permetteva di esibire quell’aria rilassata da bulletto del mare che nulla teme…..
Anche l’equipaggio aveva un atteggiamento vagamente divertito. L’atmosfera dominante era un po’ del tipo: caro Nettuno stavolta ti abbiamo fregato, soffia tu, soffia che ci vediamo poi…..
La notte scorse tranquilla, ma l’alba aveva un brutto aspetto.
In effetti aveva qualcosa di peggio che un brutto aspetto. Guardando verso NW si vedeva bassa sull’orizzonte una coltre nera dai bordi frastagliati e mobili. Era lontana ma già aveva demolito parecchio della nostra aria da strafottenti che spesso accompagna coloro che lavorano sui rimorchiatori di altura. Oh perbacco, meno male che qui nello stretto siamo tranquilli!….
L’aria a livello del mare manifestava una immobilità assolutamente innaturale mentre su in alto nuvole sottili viaggiavano veloci. Troppo veloci.
” Ragazzi ma qui si fa sul serio..” la voce del nostromo senza più ironia si levava appena udibile al di sopra del rumore di fondo delle macchine che brontolavano adagio pendolando su e giù in una zona dello stretto ove non eravamo di intralcio al traffico.
Eravamo tutti in plancia. Chi non era di guardia in macchina o di riposo era lì a guardarsi intorno per non perdere di vista la tempesta che avanza. Nessuno lo avrebbe detto apertamente ma io sono sicuro che era così, per me come per tutti. Ed oltretutto questi fenomeni violenti esercitano anche un certo fascino su di noi.
Il tempo passava senza che nulla sembrava turbare la calma di quell’angolo di mondo salvo il fatto che aveva smesso di fare giorno….dalle 6 del mattino alle 9 non vi era stato un significativo aumento della luminosità, anzi. Anzi. Le nubi alte e sottili adesso avevano lasciato il posto a nuvolosi ben più spessi, nerissimi e sempre più compatte. Il mare perfettamente liscio rifletteva una luminosità grigio scuro. Il paesaggio a poco a poco stava assumendo l’aspetto di un brutto sogno.
La prima raffica di vento ci tolse il fiato; arrivò da NW ed investì il rimorchiatore sul lato sinistro facendolo inclinare sottovento di oltre 10 gradi. Guardo il Comandate come per cercare una conferma dei miei pensieri.
”temo che cominci il ballo” mi dice ”pensa un po’ tu se fossimo là fuori” indicando con la mano in direzione del mare aperto.
“Ragazzi rizzate tutto a dovere. Nostromo, controlla bene le drizze delle lance e del gommone, stringi se necessario, fai un giro di controllo in stivetta e a prua” ordino per dare una scrollata a quell’atmosfera di gravità.
La prima raffica fu seguita a breve dalla seconda. Pochi minuti dopo eravamo tutti chiusi dentro con un ululato che percorreva tutte le sovrastrutture e che faceva accapponare la pelle.
La pressione del vento era tale che si sentiva sullo scafo. Le macchine con il loro sordo brontolio non sembravano influenzate da quanto stava accadendo e questo ci dava ancora una parvenza di normalità.
Continuiamo a pendolare su e giù mentre la tempesta infuria.
Il fischio del vento faceva venire i brividi, ma eravamo comunque a ridosso, il mare non aveva possibilità di esprimere la sua forza. Soffia tu, soffia, dovrai pur mollare prima o poi….dicevo tra me e me intanto che il tempo passava. Era ormai il pomeriggio tardi, ma bisognava guardare l’orologio per capirlo. A guardarsi intorno si sarebbe detto notte fonda. Ormai anche l’ululato del vento cominciava a passare inosservato, non che fosse calmato, anzi se possibile era persino rinforzato, ma tant’è, dopo diverse ore ti ci assuefa, comincia a rientrare nella normalità tanto, li’ al coperto, soffia tu, soffia….
Verso le 18, quando stava per cominciare i primo turno di mensa il radiotelefono VHF ci gela tutti:
“MAYDAY MAYDAY MAYDAY QUI NAVE “XXXX” CON MACCHINE IN AVARIA, STIAMO SCARROCCIANDO VERSO LA COSTA, 30 PERSONE A BORDO, MAYDAY, MAYDAY”
Eravamo sul ponte ambedue, io ed il Comandante. Ci guardavamo sconcertati.
Era la nave che avevamo ammirato il giorno prima, fiera, possente.
E adesso?
continua
Grazie Mino per questa storia vera che sembra una favola di capitani coraggiosi d’altri tempi e che invece racconta quanto pericolosa sia la vita della gente di mare, che ogni giorno affronta difficoltà inimmaginabili, dovendo mantenere una calma d’acciaio infondendo coraggio agli altri, condividendone le più nere paure. Bravo Mino