Il grande mantello, che si alzava al vento, scivolò d’un tratto.
Il principe saltò giù dal cavallo, mentre le raffiche lo percuotevano senza sosta, e tenendo le mani alzate sulla fronte per ripararsi, cercava dove quello fosse finito.
Lo vide poco distante, ma più egli si avvicinava per prenderlo più la bufera lo trascinava altrove.
Si arrese, infine, e sedette.
Freddo e pioggia lo facevano tremare, su quel moncone di roccia, e la strada fangosa inzuppava i suoi stivali, immersi ormai nell’acqua nera.
Il principe rimpiangeva il suo regno, ne immaginava i saloni a festa, le tavole imbandite. Ma era troppo il dolore per il ricordo di giornate amene, nella disgrazia.
Cominciò a piangere, come non faceva più da quando era bambino, e a maledire i genitori, il re e la regina, che lo avevano cacciato.
Perché mi avete inflitto una tal pena?
Quale torto per essermi guadagnato tanta cattiva sorte?
Non fui un buon figlio? Egregio nel vestire, nel portamento e nel seguire le consuetudidini reali?
Sempre al vostro fianco sono stato, nella caccia nei banchetti nella guerra…
Così pensava, mentre senza accorgersene si addormentava, esposto all’aria e alle intemperie.
Non avrebbe sognato quel giorno, riposo eterno lo aspettava.
Chi lo trovò fu una fanciulla, orfana di padre e di madre.
Non aveva nulla lei, a parte l’abito consunto e stinto dal sole.
Lo vide, bello e luminoso, nella morte.
Era l’essere meraviglioso che aveva sempre sognato. Non poteva lasciarlo andare.
Lo stese nel suo letto, e più lei non dormì, perché lui non si consumasse.
Il suo sguardo lo teneva integro.
Gli stava accanto, notte e giorno, senza mai allontanarsi.
Passarono i giorni e i mesi… Forse gli anni.
Il principe resisteva, le sue membra non si disfacevano, e sulle labbra un sorriso era apparso.
Quella bocca la fanciulla bagnava ogni giorno, con un angolo della veste, l’unica stoffa che aveva. E più e più il principe riviveva.
Le gote furono rosse.
Aprì gli occhi un fortunato giorno.
Non vide nessuno.
Cos’era quello scomodo giaciglio di paglia in cui si trovava?
Dov’erano il suo cavallo e il suo mantello?
Poco più in là la fanciulla, stesa sul pavimento gelido.
Solo una serva morta in questa orribile casa? Pensò il principe.
Subito me ne devo andare!
Il re e la regina capiranno cosa ho dovuto patire, e mi accoglieranno di nuovo…
A piedi, lungo fu il percorso del ritorno.
Vide il castello, immerso nell’oscurità.
Nemmeno la luna ad illuminarlo.
Bussò e bussò e bussò.
Al quinto giorno, una castellana si affacciò.
Non c’era più nessuno lì, inutile chiamare! Disse.
E tu chi sei? Domandò il principe.
Sono una povera orfana, senza nulla in questo mondo. Ho trovato riparo qui, dal vento, dalla pioggia, dalle intemperie. Disse lei.
Ma questo castello è mio! Disse il principe.
Me ne andrò, allora, bel principe.
Questo castello sarà tutto per te.
Rispose la fanciulla.
Preferisco la luce della mia capanna e la compagnia della mia pecora alla solitudine buia di questo luogo. Concluse.
Immagine dal web.
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