All it takes is a bad day
Basta solo una brutta giornata
Mi sono trasferita da poco. Sto costruendo la mia nuova realtà, ricominciando da capo. Ho tanto tempo libero, più di quanto io ne abbia mai avuto. A farmi compagnia ci sono tanti, tantissimi film.
Sono fedele allo streaming perché non sono così coraggiosa da andare al cinema da sola.
Ma c’è un’eccezione, uno di quei film che vale la pena.
Joker, il film diretto da Todd Phillips, entra nelle sale il 3 Ottobre 2019 e si imprime nella memoria di chi lo vede scomodando le menti, coinvolgendo gli spettatori durante e dopo la sua visione.
Usciti dalle sale, reagiscono tutti: chi si raggruppa e ne parla, chi ne esce arrabbiato, chi caricato, chi si incammina taciturno intrattenuto da un groviglio ancora sconnesso di pensieri.
Non si tratta infatti di un film che lascia indifferenti, non affronta la storia rassicurante di un pazzo che, spinto solamente dallo squilibrio mentale, agisce abbandonando ogni logica. Non la follia, non l’irrazionalità, ma il susseguirsi di brutte giornate, di atti mancati, di egoismo, indifferenza, ingiustizia. È questo che sconvolge, che coinvolge, che cattura l’attenzione di chi, seduto sulla comoda poltrona del cinema del venerdì sera, è una vita che dovrebbe ribellarsi.
Joker racconta la storia di un ribelle, di un uomo qualunque che si lascia sottomettere da una madre bisognosa, dai bulli di strada, dalle scelte degli altri: parla di un uomo infelice, bastonato da tutta una vita che, finalmente, con la partecipazione emotiva di tutto il pubblico, spara.
In passato ci sono state ribellioni storiche che hanno visto protagonisti milioni di anonimi e un paio di eroi. Cosa spingeva tutti a ribellarsi, a lottare, spesso a morire, senza neanche essere ricordati?
Il malessere oggi non scatena le masse, ma ci coinvolge tutti singolarmente, e il Joker dentro ognuno di noi viene chiamato a rispondere per tutte le volte che non ha scelto, che ha accettato le ingiustizie, che non ha reagito al proprio bullo di strada, di fronte ai doveri familiari insensati, ai datori di lavoro ingiusti, agli sconosciuti sprezzanti. Il Joker cresciuto e nutrito per anni da tutti quelli che hanno negato la nostra dignità in modo sottile, non abbastanza visibile da giustificare una reazione, non altrettanto invisibile da non ferirci.
Joaquin Phoenix, con la sua interpretazione stra-ordi-naria, riesce a trasmettere un atto di umano coraggio, quello che è mancato tutte le volte che non abbiamo preteso che la vita ci desse quello che ci spettava. Con la sua ribellione riaccende la possibilità di riscatto, mette in discussione il nostro passivo modo di accettare quello che ci capita, di scaricare sugli altri, sui posteri, sui predecessori, la responsabilità di occuparsi di questo mondo lasciato in malora, in una caduta libera di individualismo e illusoria salvezza personale, finché non arriva qualcuno armato di rabbia che ha il coraggio di dire basta e di pretendere qualcosa di più.
E allora lo spettatore torna a casa scosso, dopo un’esperienza intensa, forse non più cosi banale, di cinema che sa di teatro, pochi effetti speciali, poche scene all’aperto, un film che ha già superato il record di guadagni in proporzione alle spese.
Joaquin Phoenix è il film, e tutti noi siamo Joker.
Sono entrato nel cinema incerto: non ho grande familiarità con il cinecomics e l’unico Joker che avevo visto prima è il ghigno satanico di Jack Nicholson, non sapevo che il suo nome vero è Artur Fleck e che quel bambino con cui lui parla dietro l’inferriata diverrà poi Batman. Dopo poco mi ha preso la compassione per quel “povero Cristo” travestito in maniera improbabile che ne subisce di tutti i colori. E lui fermo, impaurito, sottomesso. Con le spalle nude che mostrano il dramma, l’angoscia e l’ansia di vivere come quelle nei ritratti di Egon Schiele. Ed allora, piano piano, mi risalivano agli occhi vecchie immagini di quando ero piccolo: ho rivisto quel bimbo grosso che mi rubava il fruttino alle elementari, a quel gruppo che mi circondava perché ero grassottello, occhialuto con la sfumatura dei capelli ad altezza stellare, goffo e timido, che mi mettevano in mezzo, cercando di attaccarmi al grembiule un cartello dietro la schiena o quell’altro gruppo, più avanti di età, che cercava di togliermi i pantaloni ancora corti per mostrare il mio pistolino che presumevano microscopico ed io lottavo, urlavo e piangevo perché il mio pistolino era davvero microscopico e sarei morto di vergogna e piuttosto era meglio morire di botte. E poi avanti così. Ed allora ho capito. l’unica vera malata di mente là in mezzo è la madre di Artur Fleck e poi: “tutti pazzi siamo noi!” quando ci trastulliamo a vedere presentatori beceri e italioti fare come fa nel film De Niro: prendere un poveraccio con la scusa della televisione-verità e vivisezionare, in pubblico ed in diretta, le sue scelte, i drammi, gli incontri. E allora SI! non vedevo l’ora che arrivasse il momento della rivolta di Joker e sentivo che tutti, ma proprio tutti nel cinema, aspettavano quella conclusione tremenda e catartica . Si, ha ragione DOC23: siamo tutti Jocker condannati nel mondo di oggi alla rivolta individuale, allo scoppio irragionevole, a tirar fuori la rabbia. In attesa che da questo caos nasca un mondo migliore.