Amo i mercatini e la loro variopinta varietà. Il microcosmo di vite che gravita attorno alle bancarelle mi instilla il piacere del girovagarvi, lo stimolo all’acquisto di quelle piccole cose, magari anche cianfrusaglie, che rendono colorata, allegra una mattina.
Il vocío frammisto di dialetti e il tuffarsi fra stoffe, collane, pentole, sciarpe fluenti e fragranze miste con spezie che vagheggiano di viaggi lontani, evoca serenità, complicità, evasione.
Venerdì scorso avevo deciso di dedicarmi un’ intera mattinata. Programma del solitario tuffo in me stessa: mercatino, libreria, supermercato in questo esatto ordine di importanza.
Da circa sei mesi non mi avventuravo nelle viuzze del mercatino. Mi piace andarvi di mattina presto quando i commercianti hanno da poco sistemato le loro merci sui banconi e si possono scambiare quattro chiacchiere con coloro che,nel tempo, sono divenuti , ben più che semplici conoscenti.
Respiravo la libertà di una giornata senza orari, senza impegni e la pioggerella che cadeva non mi infastidiva , tutt’ altro: dava un tocco malinconico alla mia ricerca interiore che si estrinsecava nell’ ossimoro di quella immersione fra la gente.
Le avevo subito viste. Di tutte le fogge e per tutti i gusti. Borse facevano bella mostra di sé su una bancarella. Compro rigorosamente borse al mercato perché io e loro amiamo separarci dopo poco tempo e i nostri addii sono senza alcun rimpianto sapendo che ognuna di noi ha dato ciò che poteva.
Brevi trattative per due acquisti che avevano soddisfatto venditore ed acquirente.
Inzuppata di quell’acquetta ” a zuppa viddhanu” ( che inzuppa il contadino” come si dice dalle mie parti) e con parecchie buste fra le braccia, in tarda mattinata lasciavo le amene stradine mercatali e proseguivo il giro delle ” pause” che mi ero prefissata.
Solo il richiamo della foresta,ovvero la telefonata dei figli a ricordarmi che non di solo otium vive l’uomo, mi riportava al nido.
E qui la scoperta. Angosciosa e angosciante.
Fra calze, slip, padelle, collane , plaid e sciarpe spiccavano ben 4 borse!
Due acquistate da me.
Due …rubate…da me!
Le guardavo e montava in me una vergogna indicibile . Come era potuto accadere? E se mi avessero colta in flagrante? Lì, al mercato, in mezzo a tanta gente.
Una ladra!
Uno smacco per gli onesti e per la categoria stessa dei ladri professionisti oltraggiati dall’accostamento con me.
Dinanzi alla mia costernazione i miei ragazzi ridevano a crepapelle insensibili al dolore che provavo. Ammutoliti dinanzi alla risoluzione di tornare e pagare quelle due borse.
Così stamattina, nonostante una mole di impegni da assolvere, la prima tappa è stata al mercato. Dovevo assolutamente restituire in qualche modo il maltolto. Le borse mi piacevano, pertanto, unico rimedio era il pagarle. Così , facendo mente locale sul posizionamento della bancarella , vi andai con piglio deciso.
Il mercato cominciava a vivere la sua vita e la sua vitalità e io volevo evitare magari discussioni che ponessero me e il mio gesto a ludibrio di popolo.
Mi avvicinai al venditore e cominciai a spiegargli l’antefatto, il fatto e il misfatto. Realizzando il senso del mio discorso il titolare della bancarella spalancava gli occhi.
Si guardava intorno mentre io, imperterrita, farneticavo di pagamento, di scuse.
Improvvisamente mi dice nel suo napoletano verace:- Dove sta la telecamera? È una candidcamera? –
Taccio. Lo guardo e, forse, arrossisco. Non so. La mascherina attutisce ogni emozione. E mi ritrovo due occhi sorridenti a guardarmi come fossi un’ aliena.
E poi il tripudio di gioia tutta napoletana nella quale mi sono lasciate volentieri coinvolgere.
Non so perché il venditore e il suo aiutante fossero felici per una cosa normale ma io ero felice con loro per la normalità dell’ errore, delle scuse, della riparazione e della bellezza del perdono che profuma di umanità.
Avevo pagato il mio debito. Mi sentivo leggera e felice. Nulla in confronto a ciò che è accaduto poco dopo.
Fra le mie mani un bustone. Un regalo stavolta, non un furto, del mio nuovo amico venditore napoletano. Fatto col cuore e , dopo vari dinieghi , accettato col cuore: una borsa da viaggio.
Già . Un viaggio iniziato dentro me stessa con la stanchezza ad esserne convoglio e, per quegli strani casi della vita, a portarmi verso gli altri. A ricevere più di quanto sappia donare.
A gustare il sorriso che viene dagli occhi a dispetto di ogni maschera. A sorridere coi miei figli di questa natura birichina che persino da un gesto brutto fa nascere un momento di Vita meravigliosa da raccontare.
Perché il Bene torna. Sempre. Anche quando, persino con te stessa, ti sei persa.
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