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La signora Thompson

ispirato dalla lettura del libro “Scintille” di Federico Pace

E’ il marzo del 1936. La “Grande Depressione” spinge centinaia di migliaia di contadini e braccianti, oramai alla fame, ad emigrare dall’Oklahoma e dal Dakota e da altri stati del Nord degli Stati Uniti verso la California nella speranza di trovare un qualsiasi lavoro ed un po’ di cibo per le proprie famiglie spesso numerosissime. Al momento della scelta disperata di abbandonare le proprie case e la propria storia hanno venduto tutto – casa, terreno, mobilio, vestiti – a commercianti senza scrupoli in cambio di un’automobile sgangherata e di un’illusione.

E con quella illusione nel cuore si sono messi in marcia verso il Sud, verso il sole, verso campi sognati verdissimi e floridi per ricostruirsi una vita, il sogno di una casa, un’opportunità di sopravvivenza dignitosa.

Florence Thompson è una di loro.

Ha sette figli anche se ha solo 32 anni. E’ arrivata anche lei dal Nord, da Tahlequah, nel territorio indiano della nazione Cherokee in Oklahoma. Si trova con la sua famiglia a Nipomo nell’Imperial Valley della California, accampata in una tenda ai margini di un campo insieme ad altri duemila braccianti impiegati nella raccolta dei piselli precoci. Il freddo di quel marzo ha distrutto gran parte della produzione. La situazione è disperata per tutti: il marito ed un figlio hanno smontato le ruote dell’auto per venderle e sfamare gli altri sei figli più piccoli.

La signora Thompson sta allattando quando vede una Ford station wagon, nuova e con le portiere laterali in legno, fermarsi proprio di fronte alla sua tenda. Ne scende una donna in pantaloni che impugna una macchina fotografica e che avanza verso di lei scattando: click, click, click, click, click, click. Sei foto che saranno inviate alla FSA, la Farm Security Administration, per smuovere il Congresso degli Stati Uniti a stanziare fondi per lenire la terribile situazione dei braccianti agricoli, dopo sette anni di depressione economica.

La fotografa scambia pochissime parole con la signora Thompson, non le chiede il permesso di fotografarla, né il nome, né nulla: è attratta dalla sua straordinaria bellezza e per lei, che aveva scattato migliaia di fotografie girando in lungo ed in largo fra i campi e le baracche e la miseria, quel volto era quello di “una madre”, fiera e potente.

La foto della signora Thompson viene pubblicata l’11 marzo dal San Francisco News. L’effetto è immediato: in quel campo di piselli ormai congelati arrivano cibo e vestiti, dottori e medicinali.

La fotografia della signora Thompson diventa l’icona della Grande Depressione Americana: The Migrant Mother entra nei libri di scuola dopo aver corredato articoli di giornali e riviste di tutto il mondo. Diventerà persino un francobollo.

La signora Thompson non ricevette nulla, nonostante che, per quella fotografia conservata negli archivi del Congresso degli Stati Uniti, sia diventata immortale.

Milioni di americani, però, conoscono quel volto, ormai diventato familiare, che incarna la sofferenza di un’intera nazione, mostrando una madre che, nonostante tutto è ancora in grado di proteggere i suoi figli.

E nel 1983 questa familiarità offre alla signora Thompson un tardivo risarcimento: i suoi familiari lanciano un appello perché lei è bisognosa di cure.

In pochi giorni vengono raccolti oltre 25 mila dollari. L’assistenza medica per i suoi ultimi giorni di vita ed un funerale dignitoso le vengono così assicurati.

Dorothea Lange, la fotografa diventata famosa, autograferà una copia della Migrant Mother che sarà venduta, nel 1998, dalla casa d’aste Sotheby’s per 244.500 dollari.

tutte le foto di questa pagina sono di Dorothea Lange.

Le fotografie scattate dalla Lange agli emigrati americani corredano la prima edizione italiana degli scritti° di John Steinbeck raccolti durante gli anni della grande depressione che diventeranno la struttura narrativa portante di uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale: The Grapes of Wrath (Furore nella edizione italiana).

(°) il titolo è “Il loro sangue è forte.” Le informazioni in proposito sono tratte da un testo di Fabrizio Bottari

 

 

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