L’auto iniziò a fare i capricci quando Paola aveva già imboccato la tangenziale.
Dapprima il motore si fece irregolare, poi arrivarono gli strattoni, sempre più forti. A quel punto, la donna decise di entrare nel piazzale di un distributore che provvidenzialmente distava solo un centinaio di metri. Quando girò la chiavetta di accensione, era in preda alla disperazione. Doveva arrivare a tutti i costi in ufficio al solito orario, altrimenti una riunione che il suo capoufficio aveva definito “importantissima” sarebbe saltata.
Attese che il benzinaio finisse di fare il pieno ad una berlina di lusso, gli espose il problema e sperò che si potesse risolvere in pochi minuti.
“Mi spiace signora. Secondo me sono le candele, ma potrebbe essere anche qualche altro guasto all’impianto elettrico. Le candele potrei cambiarle io, ma non voglio farle spendere soldi per niente.”
Accidenti, tra tanti ladri, doveva capitarle proprio l’unico benzinaio onesto.
“Allora, cosa mi consiglia di fare?”, chiese quasi con le lacrime agli occhi.
“Guardi, a due chilometri da qui c’è un elettrauto. Mi dicono che è abbastanza bravo. Solo che le servirà un carro attrezzi per la macchina.”
Lei non considerò nemmeno quell’ultima osservazione.
La situazione era troppo disperata e il tempo correva veloce. Rientrò nell’abitacolo e provò a rimettere in moto. Il motore fece qualche sussulto, ma per fortuna restò acceso. Certo, in quelle condizioni non poteva andare molto lontano. Decise di tentare di arrivare fino all’officina.
Da lì, se le cose si fossero messe davvero male, avrebbe chiamato in ufficio avvisando i colleghi del guasto. A sbuffi e strattoni, l’auto percorse i due chilometri fino allo svincolo successivo. Paola lo prese guidando con la massima delicatezza, il piede fermo sull’acceleratore appena pigiato. Dopo un po’, appena dopo una stretta curva, vide l’insegna che poteva rappresentare la fine dei suoi problemi ed ebbe un attimo di perplessità.
C’era scritto “elettrauto”, ma il cartello era decorato con strambi fiori colorati nel più perfetto stile hippie. Entrò adagio nel piccolo cortile e scese dal veicolo, passando nell’officina da una piccola porta ricavata nel portone metallico. Dentro c’era tanta luce e una miriade di cavi e tubi variopinti che scendevano dal soffitto fino a terra.
Nessun trapano, niente chiavi inglesi, e nemmeno il classico odore di idrocarburi lasciato dalle auto in riparazione. Più che un elettrauto, sembrava una discoteca degli anni sessanta.
Stava per girare i tacchi e tornarsene via, quando da uno sgabuzzino sortì fuori un ometto dai lunghi capelli grigi (ecco il famoso elettrauto hippy).
“Buongiorno. Ha problemi con la macchina?”
“Si. A dire il vero si, ma credo di essere nel posto sbagliato. Mi avevano detto che qui c’è un elettrauto.”
“Certo che c’è. Sono io.”
“Mi scusi, ma non mi sembra che la sua attrezzatura sia adatta al guasto della mia auto”.
Sotto sotto, Paola temeva di essersi imbattuta in un pazzo o maniaco che l’avrebbe violentata e uccisa, forse in combutta con il tipo del distributore.
“Non si preoccupi di questo. So il fatto mio. Piuttosto, mi dica. Cos’ha la sua auto? Forse il motore singhiozza?”
Ancora incerta se entrare con la macchina o scappare, la donna si sorprese a rispondere: “Esattamente. Mi ha quasi piantata in asso nel bel mezzo della tangenziale.”
“Ok, le apro il portone. Mi raccomando, entri molto lentamente”.
La donna fece quanto richiesto e uscì lasciando la portiera aperta (meglio tenersi una via di fuga), mentre il professionista applicava un tubo allo scappamento, per far uscire il velenoso gas di scarico.
Poi, chiuse il portone. “Bene. Ora rimetta in moto senza toccare l’acceleratore.” il cofano alzato le impediva di vedere cosa stesse facendo l’uomo, ma capì che stava collegando alcuni dei cavi colorati in qualche punto del motore.
Poi girò intorno al fianco destro del veicolo, portandosi al lato del conducente, dove Paola attendeva nervosamente il verdetto.
“Quest’auto non le è mai piaciuta, vero?” Era così, ma come faceva a saperlo l’elettrauto?
“Si. Avrei preferito un modello più sportivo, ma alla fine o preso questa perché consuma poco. Ma ce c’entra questo con il guasto?”
“C’entra, eccome. A volte gli oggetti che usiamo capiscono i nostri sentimenti e si regolano di conseguenza. Magari si ribellano.”
Dagli sproloqui che diceva, doveva proprio essere pazzo, però come aveva potuto intuire che lei avrebbe voluto comprare un altro modello?
“Signora, lo so che i miei discorsi sono strani, ma le assicuro che non sono matto né ubriaco. Son cose che ho imparato in anni di pratica. Ora invece di stringere quel volante come se volesse spezzarlo, provi a sentire com’è fatto. Sia più delicata nel toccarlo.”
Malgrado la situazione fosse assurda, la donna ubbidì.
Immediatamente, percepì una specie di comunione tra lei ed il veicolo nel quale sedeva.
Le sembrò di sentire ogni pezzo, ogni bullone, ogni minuscolo elemento di quello che fino a poco prima aveva considerato solo un ammasso di ferraglia.
Fu solo dopo qualche minuto che si accorse di come il motore ora girasse fluido e regolare, molto meno rumoroso di quanto fosse mai stato. Non le importò più che accidenti di elettrauto aveva trovato. Lei era una donna pragmatica. Il problema era risolto. Questo era quanto. L’uomo tolse i cavi e abbassò dolcemente il cofano.
E in quel mentre i loro sguardi si incontrarono, per la prima volta. Paola vide allora che c’era una profonda bontà in quelle pupille di un azzurro tanto chiaro da sconfinare nel grigio pallido. Ma doveva preoccuparsi del lavoro, perciò si riscosse e disse perentoria:
“Grazie! Lei mi ha salvato la vita. Quanto le devo? Devo fare in fretta, sennò perdo il lavoro.”
“Sono dieci euro, però devo avvertirla che il lavoro non ce l’ha più.”
“Come sarebbe a dire?”
“Vede. Non ho riparato soltanto quest’auto, ma qualcosa che vale molto di più. Lei ha vissuto sempre sacrificando i suoi desideri. Avrebbe voluto fare la pittrice, ma invece ha studiato ragioneria. Forse credeva di essere saggia. So che ha rinunciato in buonafede, perché altre persone le hanno fatto credere che quella era la soluzione giusta. Ma non è così. Prima che se ne vada, vorrei darle un ultimo consiglio. Smetta di sacrificarsi per i figli. Hanno bisogno di sicurezze, certo, ma anche di amore. Stia di più con loro.”
Paola lo ascoltò attonita.
Dunque, sapeva anche che aveva dei figli.
Comunque, ciò non la tranquillizzò. Pagò. Ringraziò ed uscì velocemente dall’officina, immettendosi nel traffico.
Avrebbe fatto in tempo. Dio sia lodato. Quando stava per entrare in ufficio però notò un particolare stonato. Di fianco al campanello non c’era la vecchia targa “Vendramini e Associati” in ottone.
La voce che rispose al citofono:
“Chi è?” Non era quella della tirocinante. “Sono Paola. Mi apre?” un secondo di silenzio, poi arrivò la risposta:
“Paola chi?” “Dai, non fare scherzi. Sennò ti metto a fare fotocopie fino al giorno del giudizio.”
“Guardi, non conosco nessuna Paola. Se ne vada, altrimenti chiamo la polizia.”
Allora la donna pensò di risolvere la faccenda partendo dai fondamentali:
“è lo studio Vendramini e associati?” “No. Questo è l’appartamento dei coniugi Salvetti. Io sono la cameriera e non faccio certo entrare degli estranei. Vuole che perda il posto?”
Paola sentì che le gambe le cedevano. Risalì in auto appena un attimo prima di afflosciarsi a terra come un sacco vuoto. Cosa stava succedendo? Passarono parecchi minuti, senza che sapesse decidere cosa fare. L’unica cosa sensata era tornare a casa. Questa volta, guidò molto, molto lentamente.
Aveva paura che anche la sua casa non fosse più la stessa.
Chissà. Magari ci avrebbe trovato dentro una famiglia di sconosciuti.
Aprì il cancello quasi tremando e fece le scale con il fiatone, come se dietro quella porta la attendesse il disastro.
Maledetto quell’elettrauto, che aveva scompaginato la sua vita come un castello di carte.
Invece, la chiave aprì senza problemi. Dentro, i mobili erano gli stessi, ma alle pareti c’erano quadri bellissimi che rappresentavano soggetti eterogenei; una marina, un volto di bimbo, una stanza ottocentesca con il caminetto acceso.
Quando li aveva comprati?
Non se ne ricordava affatto ed a quel punto credette di essere stata vittima di una specie di allucinazione.
Nell’angolo in basso a destra di una tela vide una firma.
Doveva essere di un pittore importante. Paola si avvicinò per leggerla meglio.
Era la sua calligrafia, era il suo nome.
foto di Marilla Lovato
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