Mi ha sempre resa nervosa l’ultimo tratto di autostrada prima di arrivare all’imbarco dei traghetti che portano a Messina.
Mentre mio marito guida l’auto dentro la grande pancia della nave, io rilasso i nervi, e mi appresto al solito rito… cercare l’altra sponda, puntare lo sguardo sulla distesa dello stretto e focalizzare la mia città. Eccola li, distesa mollemente nel suo decadente splendore. I palazzi sembrano piccoli da lontano e, mentre il solito vento mi scompiglia i capelli, il paesaggio scorre e le case, gli alberi, le persone prendono forma. In lontananza svetta la madonnina del porto, la cittadella.
Intanto il traghetto attracca e si scende.
Piano, piano ci immettiamo nel traffico cittadino, il solito caos, la solita città mal gestita. Intanto prendiamo la vecchia strada di casa. Riconosco ogni negozio, ogni bancarella e torno ai giorni lontani, quando vivevo qui e potevo raggiungere il mare in pochi minuti. Già…il mare. Quanto mi manca? In tutto quello che scrivo c’è il mio mare, il suo colore, la sua ira.
Arriviamo a casa e Anna mi sta aspettando alla finestra.
La sua sagoma inconfondibile, agita il braccio in un saluto. Faccio le due rampe di scala di corsa e finalmente ci abbracciamo. Siamo sorelle e amiche, entrambe “ toste e fantasiose “ diceva la mamma. La guardo e so cosa non dice. Tra noi le parole non sempre sono necessarie. Il suo turbante rosso la fa ancora più bella nonostante la malattia, ha una forza incredibile.
Mi stritola in un abbraccio quando le dico che sono a Messina per lei, per fare le mie ferie, assieme. La mia casa e la sua sono sullo stesso ballatoio e, come abitudine lasciamo il portone d’ingresso aperto facendo casa comune. Ci organizziamo come quando, bambine, ne combinavamo di belle. Da me, si pranza e si cena, da lei si beve caffè e si chiacchiera. Che bel periodo nonostante tutto.
“Ora che sono dimagrita, posso rubarti i vestiti “ – mi dice,e io ho una stretta al cuore.
L’ho portata al mare, così come desiderava e insieme, con i pantaloni arrotolati ci siamo bagnate come quando eravamo bambine.
Quel pomeriggio di fine estate non lo dimenticherò mai.
Due settimane intere senza lasciarla mai. Abbiamo concentrato in quei giorni tutto quello che potevamo donarci l’un l’altra.
Io sapevo che sarebbe stata l’Ultima Estate, lei sapeva quanto l’amavo.
Quando arrivò il giorno della mia partenza ci salutammo come al solito, solo quando mi girai per uscire mi raggiunse la sua voce forte e imperiosa:
“ Ti raccomando i miei figli “
foto di Fulvio Mantoan
Mi è venuto da piangere leggendo quella frase di chiusura: perché è uno schiaffo e perché tutti noi potremmo passarci per situazioni analoghe, in momenti in cui lo strazio dell’addio si confonde con l’immagine sfocata di un futuro che ci assegna un ruolo.
Ci sarebbe da dire che non si riesce mai a commuoversi “per l’altro”, ma solo per se stessi ed in parte è vero, così come è vero che il grandissimo valore delle storie è che appartengono a tutti, ci accomunano e ci fanno sentire fratelli, nel dolore e nella gioia.
Potenza delle storie e di chi le sa raccontare.
Bella, struggente pagina che racchiude come in uno scrigno il ricordo di un’ ultima estate di una sfortunata sorella raccontata dall’ altra sorella . Un saluto estremo e l’atto di forte impatto emotivo:
Ti affido i miei figli . Chi più di una sorella li potrà amare come propri! Delicato racconto che coinvolge e commuove!