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L’isola che c’era

OPERA IN CONCORSO

I miei luoghi del cuore sono spesso isole, immagino sia perché la loro configurazione le renda luoghi puntuali, senza sfumature ai margini, né contaminazioni territoriali. I tratti identitari sono più netti che altrove, come quelli di un amante rispetto a tutti gli altri, genericamente uomini.

Procida è la più isola tra quelle dell’arcipelago flegreo.

Periferica per sentimento, lontana dal caos urbano di Ischia, lontanissima dal glamour di Capri. Gelosa di sé, disabitata a intermittenze dai marittimi, abitata dall’attesa e dal tempo lento, quasi sospeso. Guardinga, con strade fiancheggiate da alti muri che nascondono allo sguardo piccoli mondi privati, giardini, orti. Da quegli orti segreti, una volta l’anno, evadono carciofi sublimi che finiscono cucinati in tutte le varianti durante la sagra che cade in una data imprecisata, perché ne possa godere solo chi si trova lì.

Un’isola scontrosa al punto che, in piena estate, gli alimentari riposano il giovedì pomeriggio. Un’isola di pescatori riluttanti, dove il piatto tradizionale sono le alici in tortiera, una preparazione barocca per nasconderne il sapore di pesce. A sud, la punta di Solchiaro, un costone tufaceo dallo zoccolo glabro e dorato e l’alto verde di macchia mediterranea, agavi e rari pini, prelude al seno naturale della Chiaiolella, il porticciolo dove ho imparato a manovrare per ormeggi impensabili. Dalla spiaggia a ovest, si inerpica una strada ripida che porta al ponte che collega l’isola all’isoletta di Vivara, disabitata se non per la fauna stanziale e di passo.

Quando ero adolescente, l’accesso al ponte era proibito e protetto da un cancello agevolmente aggirabile, però, da noi ragazze e ragazzi che con quell’audacia ne coprivamo altre più censurabili, consumate sullo scoglio complice, in disparte.
Poi l’isola è diventata capitale, e ora assomiglia a un qualsiasi altro posto raccontato da tassisti didascalici e senz’anima, invaso da moltitudini distratte dai selfie probanti.

Non vado quasi più a Procida, ma come per un amante molto amato, conservo per lei un posto stabile nel cuore.

Iaia, 13/10/2022

Pubblicato inLuoghi del Cuore

2 Commenti

  1. ERNESTO AUFIERO ERNESTO AUFIERO

    Che bella Iaia, la purezza della nostalgia. Un sapore acre dentro l’etimologia, nostos, il ritorno, e algos, il dolore. Tutto sciupato da quei “selfie probanti” che annacquano anche la malinconia. Grazie.

  2. Lulamae Lulamae

    Che trasporto in questa descrizione!
    Efficaci la ritrosia e la gelosia dell’isola che fu, nascosta tra gli orti, per conservare la propria identità.
    Verrebbe proprio voglia di andarci, se le cose non fossero cambiate, come dici.
    Complimenti.

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