Nedda non vuole legami troppo forti, dice.
È bellissima, desiderabile. Se l’accompagno, noto gli sguardi che la gente le rivolge, tra l’incredulo e il sognante.
Ma Nedda sente un vuoto dentro. Sostiene di non essere in grado di provare sentimenti che vadano oltre il concesso, oltre la soglia.
Corre sempre, anche camminando, per non essere accalappiata, allacciata da redini stringenti.
Tutti vorrebbero amarla, la amano, ma lei fugge, sconcertata dalle emozioni degli altri.
Nedda critica da sé la sua inettitudine emotiva e detesta gli incontri mordi e fuggi con gli uomini, a cui si costringe, da cui non si sa trattenere. Vorrebbe, ma non può, perché colmano la voragine.
Nedda è fiera, nel suo pudore triste, perché nessuno potrà più ferirla. La lacerazione è già avvenuta tanto tempo addietro, dice, inguaribile per sempre.
A volte il passato ritorna, e Nedda sussulta, trema. Acque impetuose e impietose le ricordano la sua solitudine, antica. E lei risponde con la rabbia, sfida la sorte e si butta nella tempesta. Noncurante del male che si provoca, preferisce non sentire il dolore dell’addio.
Sono parole che non può concepire quelle che congiungono e che poi dividono, a tradimento.
Però Nedda ora è tra le sue braccia, con la faccia arrossata, e singhiozza come quando era bambina.
Si stringe a lui, ha paura. Gli prende forte la stoffa dell’abito mentre è pervasa da qualcosa che non conosce affatto. È cosa nuova per lei, intollerabile.
Era sicura che non sarebbe successo.
Immagine tratta dal web.
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