Etimologicamente “crisi” significa scelta, decisione.
Ha origini agricole: si doveva scindire il chicco di grano dalla spiga, individuare ciò che serviva davvero per preparare il pane, fonte di vita.
Le nostre crisi portano con sé dolore, ma sono salvifiche, perché consentono di distinguere l’essenziale dall’accidente, il vero motore della nostra persona dagli accessori.
Noi non siamo gli altri, anche se adottiamo costumi simili ai loro.
Metaforicamente, la nostra essenza è il nostro cuore, perché è lui che esulta per una scelta giusta e che piange per una sbagliata. È in ultima battuta lui l’indicatore della nostra felicità, che non necessariamente porterà in alto anche la lancetta di chi ci sta vicino.
A volte dell’altro ci affascina la bellezza, la ricchezza, la simpatia, il successo.
Ma questi sono fattori che possono svanire col tempo.
Dunque la nostra consapevolezza deve attraversare venti di guerra, combattuta tra ciò che è giusto per noi e ciò che conta per gli altri, che siano gli affetti, gli amici, la società.
Siamo chiamati a scegliere, per non essere altro da noi.
La paura è fattore discriminante nel saltare o meno questo ostacolo: timore di non farcela, di perdere le sicurezze, le certezze, quelle dettate dalle convenzioni e dall’opportunità.
Le certezze profonde però, non ci lasceranno mai. Faranno di noi individui riconoscibili e incancellabili dalla memoria.
foto di Robert Doisneau
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