Mi venne a trovare a casa e, senza girarci attorno, mi disse: “ Non so scrivere “
La guardai negli occhi e, senza che parlassi, lei capì la domanda che stavo per formulare. Rispose con una valanga di parole. La sua vita sembrava un romanzo, una giostra, una continua lotta per sopravvivere, per far crescere i suoi figli.
Mi misi comoda e ascoltai, semplicemente ascoltai quello che, come un fiume scorreva attraverso i suoi ricordi.
Era nata durante la guerra in un paesino di montagna e, della sua infanzia ricordava poco e quel poco non era bello. Appena in grado di essere utile, fu messa a servizio presso una coppia anziana che la teneva più per misericordia che per altro. Niente scuola, niente giochi, solo lavoro e stenti. Crebbe così quella ragazza schiva e diffidente che adesso stava nel mio studio e aveva la pretesa che io, al posto suo, scrivessi la sua storia.
Mentre l’ascoltavo cercavo di selezionare parole, espressioni che lei buttava li, come fossero sassi scagliati con forza o carezze lievi, come aliti di chi l’aveva amata. Si…era anche stata amata e aveva generato figli. Ne aveva avuti tre, due da un uomo che l’aveva posseduta, non amata, ma il terzo era il figlio dell’amore. L’aveva conosciuto per caso e lui si era innamorato dei suoi occhi belli. Occhi bellissimi, grandi, limpidi; ci si leggeva dentro e io lessi la sua ansia di raccontare. Descrisse quel suo amore mantenendo una luce negli occhi, usò parole delicate, aggettivi appropriati e parlò del loro figlio con una tenerezza palpabile. Lei sapeva bene come narrare un sentimento difficile come l’amore, fare la differenza tra quello per un uomo e quello filiale. Me lo fece percepire tutto e ne rimasi incantata.
Ma perché sentiva la necessità di raccontarlo a me? Glielo chiesi con timore quasi intuendo la risposta. A Maria restavano pochi mesi di vita e lei voleva che i suoi due figli sapessero quanto li aveva amati. Il padre li aveva voluti con se e lei, non avendo mezzi sufficienti, non si era opposta. Avevano vissuto negli agi e nella trascuratezza affettiva e entrambi erano finiti in galera. Maria voleva che sapessero del suo amore, di come erano stati generati e di quanto, ancora, soffrisse per la loro vita sprecata.
Fingevo di prendere appunti, non volevo che fosse distratta dalla mia commozione.
Maria continuò parlando dell’ultimo figlio, della preoccupazione per il suo carattere chiuso che le aveva causato problemi ma s’illuminò quando descrisse la gioia di averlo visto felice nel giorno che gli presentò la compagna e questa le confessò di aspettare un bambino.
Maria si immaginò nonna, si vide accanto al nipotino e ringraziò la vita che le dava una gioia così grande.
Non volle parlare della sua malattia e non mi fece nessuna richiesta in termini di tempo, solo mi disse di annotare due indirizzi e mi strappò la promessa che, quando questa storia sarebbe stata scritta e completata ne avrei fatto tre copie e le avrei spediti ai destinatari: i suoi figli.
Ho mantenuto quella promessa. Maria ha avuto quello che chiedeva.
Io ho avuto il privilegio di avere ascoltato una DONNA autentica con due occhi meravigliosi e una vita da ricordare per sempre.
Quello che state leggendo è una sintesi.
Il racconto che Maria mi donò è molto più lungo e non lo pubblicherò mai.
nell’immagine: Liv Ullman
Toccante e vero. Spesso, le storie più belle appartengono proprio alle persone che non credono di saperle scrivere.