nella foto: il Centro Direzionale della Banca Popolare di Lodi, disegnato da Renzo Piano
Nel giorno dedicato a Santa Lucia, nel dicembre del 2004, presi il treno diretto a Padova per insediarmi nel Servizio del Personale della Direzione Generale della Banca Antonveneta.
Portavo in tasca il foglio affettuosamente ripiegato con il messaggio dell’amico fraterno, Enzo, che aveva scritto “Ricordati sempre che sei stato un Grande sindacalista”, nel cuore quasi 30 anni di sindacato aziendale nella fila della CGIL, negli occhi i volti dei “miei” iscritti napoletani che mi avevano salutato commossi e plaudenti.
Ero impaurito e curioso.
Avevo paura di quel salto senza rete che aveva come obiettivo, concordato con l’allora Amministratore Delegato, quello di assumere la Responsabilità del Servizio Sviluppo della Direzione Generale e che avevo cercato di ammortizzare puntando in un primo tempo alla responsabilità del Servizio Formazione.
Ero curioso di quello che sarei stato in grado di tirar fuori da me stesso nei ruoli aziendali, sfidando “la sindrome dell’impostore”, fedele e ingombrante compagna del mio viaggio di vita da quando avevo ricevuto i primi elogi, in quinta elementare, per un tema giudicato bellissimo, segnale di “sicuro avvenire come scrittore”.
Ero al settimo cielo: quel ruolo nel Servizio Sviluppo mi sembrava un obiettivo coerente con la politica di concertazione che come sindacato svolgevamo da anni ed aveva realizzato il risultato di un contratto aziendale fortemente innovativo che rivoluzionava “la carriera” in banca legandola alla formazione, all’arricchimento delle competenze attraverso percorsi di sviluppo nelle varie posizioni di lavoro e sottraeva ogni discrezionalità da parte aziendale.
Secondo la politica che ci aveva ispirato nel confronto con l’azienda, le persone costituivano il suo patrimonio decisivo e distintivo ed il loro sviluppo diveniva la prima preoccupazione di un’azienda moderna: sulla base di questo valore, condiviso in quegli anni da tutto il sindacato, non mi appariva così traumatico che fosse un ex-sindacalista a rivestire la Responsabilità dello Sviluppo del Personale in azienda.
Mi sbagliavo.
Lo capii prestissimo ma soprattutto compresi che un’azienda grande, come qualsiasi altra organizzazione e come lo stesso sindacato d’altronde, è abitata da personalismi, attraversata da scontri e battaglie per i motivi anche poco nobili, squassata da dicerie e malevolenze, divisa da correnti e raggruppamenti intorno a questa o quella figura di rilievo interno o esterno e che io, in quella baraonda, ero e mi sentivo come “una barca nel bosco”.
D’altra parte l’appartenenza non è acqua fresca e fare qualcosa con un maglietta con sopra scritto una grande S e la stessa identica cosa con una maglietta con su scritta una grande A cambia la percezione di te in modo sostanziale.
E l’onda d’urto arrivò.
Ma avvennero due cose che mi sottrassero alle conseguenze psicologiche di quell’urto: mi innamorai perdutamente di una giovane ragazza che avevo conosciuto qualche mese prima di lasciare Roma e che si era istallata in casa mia a Padova, e arrivarono Quelli della Lodi.
Per quanto riguarda la profondità del mio innamoramento lo compresi appieno quando cominciai a sentirmi dire frasi e pronunciare parole che non erano passate dalla testa: ero pericolosamente fuori controllo e vivevo la maggior parte del tempo in un’altra dimensione, sognante e irreale, lontanissimo da baraonde e onde d’urto.
Talmente estraneo alle vicende quotidiane, mi verrebbe da dire “terrene”, che quando apparve chiaro al mondo intero che la Banca Popolare di Lodi, capitanata da Giampiero Fiorani e spalleggiata dall’allora Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, stava scalando l’Antonveneta, misurai questa notizia solo sul suo possibile impatto sulle mie visite, in orario di lavoro, al mio Amore in attesa di me nel nostro nido, nel ghetto di Padova, in Via Marsala al numero 19.
Lontani dagli occhi di tutti, non solo dai miei, Quelli della Lodi avevano preparato il terreno non solo all’interno della banca, con alcuni Capi Settore ed Area, ma anche avvicinando alcuni dei suoi clienti più importanti, rastrellando azioni e distribuendo copie anonime del piano industriale della nuova banca, la Banca Popolare Italiana, Antonveneta risultante dalla fusione dell’Antonveneta con la Banca Popolare di Lodi.
E così il 1° maggio 2005 si tenne a Padova il Consiglio di Amministrazione dell’Antonveneta che elesse 15 nuovi consiglieri tutti espressione di Quelli della Lodi. Ricordo le facce attonite ed esterrefatte del personale a contatto con la Sala del Consiglio quando, al mattino seguente, trovarono la prestigiosa sede del gruppo al comando della banca, messa a soqquadro: sedie capovolte, bicchieri di cristallo e bottiglie di champagne disseminati sotto e sopra il tavolo, sulle sedie, negli angoli della sala e persino nei bagni.
Nonostante avessero provveduto a tappezzare Padova con striscioni inneggianti alla nascita della Nuova Banca Popolare Italiana, Quelli della Lodi sloggiarono ben presto e l’intera vicenda assunse le tinte del giallo.
Ad allertare i legali della Abu Amro, il colosso che contendeva alla Popolare di Lodi il controllo di Antonveneta, fu, infatti, un misterioso funzionario della Lodi che consegnò a Mario Zacchetti e a Guido Rossi un dossier sull’operazione realizzata da Fiorani per mettere insieme i soldi per l’acquisto di Antonveneta: presso la Bpl erano stati accesi 18 conti correnti intestati ad altrettante persone fisiche alle quali erano stati concessi finanziamenti per 545 milioni di euro a tassi particolarmente bassi. Con quei soldi, i 18 avevano acquistato azioni Antonveneta e di conseguenza a Giampiero Fiorani fu contestato il reato di aggiotaggio.
Scoppiò “Bancopoli”, i “furbetti del quartierino” da una parte e Clementina Forleo, il pm dell’operazione Antonveneta dall’altra, divennero famosi perché, per gran parte del 2005, giornali e televisioni non fecero che parlare di quelle vicende – le due scalate ad Antonveneta e a BNL – e delle connivenze, politiche e dell’organo di vigilanza, che le avevano spalleggiate o consentite.
Tutto questo mi permise di uscire dai radar dell’azienda, visto che ormai l’Antonveneta aveva i giorni contati come Istituto autonomo e la struttura di direzione sarebbe stata ridisegnata dal nuovo proprietario: cosa che avvenne puntualmente quando subentrò il colosso olandese.
Passai il resto dei 18 mesi, durante i quali lavorai ancora a Padova, con i ragazzi del servizio del quale ero responsabile e mi appassionai molto a trasferire loro una visione più moderna e coinvolgente, molto diversa da quella tradizionale, del “fare formazione”.
Fu una bellissimo periodo, pieno di soddisfazioni.
Tre dei “miei ragazzi” si appassioneranno a tal punto da decidere di lasciare la banca per seguire quella visione e coltivare quel modello di intervento verso i più disparati target: Fabiana, Nicola ed Ernesto Aufiero.
Con Ernesto si stabilì fin dal primo momento una relazione stretta ed intensa, nacque un’amicizia fraterna ed un sodalizio professionale generativo e fruttuoso del quale questo Blog è una testimonianza.
Tornai a Roma a giugno del 2006 senza alcun rimpianto.
Il corso della mia vita aveva avuto una svolta decisiva e definitiva. Quella “ragazza di Roma” divenne, pochi anni dopo, mia moglie e insieme stabilimmo che il vero obiettivo per il quale ci eravamo mossi all’unisono e con successo era stato raggiunto.
Obiettivo: felicità.
Tu fortunatamente la evitasti ed io me la sciroppai, fusione compresa.
Ed è meglio che mi taccio
Bellissimo racconto e mi ricordo tutto stranamente … in particolare le giravolte della nostra dirigenza padovana Ominicchi
Bel commento, mi trovavo in Banca Antonveneta e non fu un periodo felice. Abn Amro fu costretta a lanciare un’Opa a 21,50 euro per azione, per salvare il suo progetto di espansione sul territorio nazionale tramite il regista dr. Pontello e i considerevoli finanziamenti di sostegno arraffando banca più o meno buone sotto la pressione morale susino di Bankit. Ora assistiamo alla distruzione di Mps, ex Antonveneta e 11 aggregate, tra cui Bna, per salvare altre banche con metodi del tutto fraudolenti e ancora misteriosi, iniziando dalle mancate indagini sulla speculazione finanziaria di Banco Santander-Botin-OpusDesi ( braccio operativo dello Ior che è sempre stato in mezzo a queste nebulose operazioni speculative e non solo). Ovviamente per ingrandire UniCredit (sostenuto da fondi esterni) e Intesa a spese del sistemate di noi cittadini. Ora assisteremo alla saga del business immobiliare, gioielli di famiglia con i soliti noti speculatori e imprenditori.