LUCIO DALLA INSPIRED
OPERA IN CONCORSO
Il padre, Giuseppe, se n’era andato all’improvviso, e Lucio, sette anni, sdegnò la morte, macché biglietto per il paradiso! La madre, Jole, lo mandò in collegio, “la mia creatura teatro e musica mangia, per la scuola nutre un gran spregio. Figuratevi che a tre anni cantò una filastrocca, il caffè concerto, l’applauso che scocca. E pure fa l’operetta, e fisarmonica, clarinetto, pianoforte, va sempre di fretta. Lucio mio si iscrisse all’Istituto per ragionieri, al Liceo classico e al Linguistico, non gliene andava bene uno, proiettato com’era nel futuristico.” Il canto con le band nella sale da ballo, chissà Marco che a ballare sembrava un cavallo. La madre, l’ago e il filo sempre in mano, “Lucio mio, nella musica sarai gigante, ma adesso sembri un nano.” “Mamma, sono nella capitale, provo il jazz tradizionale.” “ Lucio, fai attenzione, qualcuno nei vicoli di Roma fa a pezzi una canzone.” La sinistra extraparlamentare urlava, al soldo i cantautori, erano gli anni caldi, ma loro non erano arrangiatori. Per Gino, quella voce fu una rivelazione, altro che orchestra, “re soul” sarà, senza esitazione. Al festival della canzone, Lucio non fu il vincitore, ma 4 marzo 1943, la ballata, fu canticchiata a tutte le ore. Bologna, sai, mi sei mancata un casino, lo stadio, il trotto e il Resto del Carlino. E la madre fra tessuti e carta modello: “Collabori con Roberto Roversi? Potere e perbenismo si abbattono a colpi di versi. ”Ascolti, mia cara, sembra che tutto proceda a dovere, che dietro a ogni autunno vada in orario l’inverno.” La madre non sentì il blues, il rock, il soul, nella cassa sigillata non si udiva una nota, neppure stonata. Babbo, che eri un gran cacciatore di quaglie e fagiani, caccia via queste mosche che non mi fanno dormire, che mi fanno arrabbiare. Com’è profondo il mare. Dio o chi per lui sta cercando di dividerci, di farci del male, di farci annegare. Con la forza di un ricatto l’uomo diventò qualcuno. E Lucio, sulla scia del successo, vive di musica colta, all’ombra, però, d’un cipresso.
immagine di copertina: dal web (IlSole24Ore, 20 Aprile 2022)
Che bello questo racconto.
Come Lucio: tortuoso e romantico, che corre lungo tutta una vita che “è una catena, ogni tanto fa un po’ male”. Bello questo racconto. Come Lucio: cosmopolita e accanitamente di Bologna dove “non si perde neanche un bambino”.
Che bella mamma Jole che forse davvero “le strofe di taverna” gli “cantò a ninna nanna”.
Brava Lucia, hai schivato tutte le insidie della retorica, tutte le lusinghe dell’agiografia e hai raccontato un pezzo d’anima.
Che bello questo racconto.
Emma Di Rao
Emma Di Rao
Sulle ali della sua fervida fantasia, Lucia Corsale vola a inseguire l’immagine del genio incantatore : musicista, poeta, cantante, figlio di un padre andato via troppo presto e di una madre fiduciosa nel successo del nano gigante. E l’autrice la raggiunge quell’ombra riempiendola di luce e donandole l’appellativo magico di “re Soul”. Con la stessa poesia che spira nei versi di Dalla, Lucia Corsale rende inoltre vivida la figura del re ritraendola, con suggestiva immagine foscoliana, “all’ombra di un cipresso” mentre elargisce la sua musica fra terra e cielo.