Mi ritrovo disteso, incastonato nel legno pregiato di una bara, con le scarpe della festa, il trucco che non ho mai avuto e la testa poggiata su un cuscino in raso. Sono pronto al dissolvimento che accompagnerà il mio corpo.
Avrei desiderato essere Lucio Dalla, ci avevo messo una vita per assomigliare a lui, a partire dalla folta barba e dall’involontaria ma beneaugurante calvizie. Avevo anche gli occhialetti tondi ma mi mancava tutto il resto e, in particolare, il talento. Per non parlare del carisma.
Così, mi ero dovuto accontentare di essere un riproduttore di brani altrui, meglio non di Lucio perché avrei sofferto troppo; non ero all’altezza del Maestro.
E dunque, quella sera mi stavo esibendo nelle cover che oramai erano parte del mio stantìo repertorio di esecutore senza fantasia; il solito tiepido applauso di un pubblico annoiato confortava male il mio insuccesso da cantante in attesa della grande occasione e, quasi senza accorgermene, mi accasciai.
La chitarra emise un suono distorto; qualcuno si destò, forse credendomi Jimi Hendrix, ma ero solo io che morivo.
Morivo come Lucio, sul palco o quasi, ma io sarei stato dimenticato subito.
Ora sogno di svanire lentamente diventando quello che i sogni permettono di fare.
Voglio espandermi nel tempo come Lucio, per essere eterno come chi ho amato, ed esplorare la profondità di una musica che non sono mai riuscito a produrre.
Galleggerò nella mia futura eternità, quella che non ha un domani ma solo un continuo presente.
Voglio essere vivo incarnandomi nei miei idoli morti, e morto risvegliandomi ai suoni di quelli che ancora vivono.
Non ho avuto il tempo per essere disperato perché il sogno da vivo proseguiva, così erotico che, pur insoddisfacente, lasciava intravvedere un’illusione.
E ora non sono più quel tale che emulava l’assoluto ma faccio parte del gruppo dei divini defunti, tutti musicisti, come me e come Lucio.
Sono ora un ballerino che danza con Lucio, senza doversi preoccupare del giudizio altrui. Sono libero di essere quel che volevo.
È il mio sogno di eternità, come la musica che sopravvive a chi l’ha generata.
Immagine di copertina: disegno di Federico Marte, tratto da una fotografia di Renzo Chiesa
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