T’amo non t’amo.
Da bambina se la cavava così, con i petali delle margherite.
Su quel treno lo aveva incontrato una mattina d’inverno.
Lo aveva visto leggere, sprofondato nelle pagine e disinteressato a tutto ciò che lo circondava.
Come capita quando si è assorti e presi dalla storia, non l’aveva degnata di uno sguardo quando gli aveva chiesto di potersi sedere.
I capelli arruffati, il fascino di chi basta a se stesso per vivere.
T’amo non t’amo.
Non sapeva se lo amava o lo odiava per quel suo essere sempre trasandato e assente.
Aveva provato più volte ad allontanarsi, a non farsi trovare, per vedere se l’avrebbe cercata.
Ma lui non se ne era mai reso conto, come se un giorno o un mese lontano da lei non facessero alcuna differenza.
Entrava d’improvviso a casa sua, abbandonava il soprabito sulla poltrona. Poi la prendeva a sé, la stringeva forte, le accarezzava le guance, le dava mille baci sulla bocca.
Disarmata, lei non riusciva a volergliene, e tutta la rabbia scompariva d’un tratto.
Cominciava a ridere, a sciogliersi, chiedendosi come avesse fatto a volerlo dimenticare.
Lui le chiedeva perché fosse tanto felice, ma senza attendere la risposta…
Dopo l’amore cominciava a guardarla, allora sì finalmente.
E lei, con le guance infiammate, si arrendeva.
Ancora una volta l’aveva conquistata.
T’amo non t’amo.
Ti amerò per sempre.
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