Via Roma. Anzi Via Toledo.
Ma era Via Roma 210 l’indirizzo di dove lavoravo. Poi nel 1980 fu ripristinato il nome di battesimo a ricordare il Viceré Pedro Alvarez de Toledo che l’aveva fatta costruire nel 1536.
Uscivo dal lavoro all’una e mezza e andavo di corsa a comprare la colazione, come si dice a Napoli, e entravo da Ursini.
Un fantasmagoria di colori. In quei vasi bianchi e larghi lasciati aperti facevano capolino: le mostarde di tutti i tipi, il tonno, le melanzane sott’olio, i peperoni, i carciofini, olive nere o bianche o schiacciate e condite; e poi alici, aringhe, la zuppa forte, il callo e la trippa, i cigoli e a fianco le sperlunghe con i vari formaggi e i diversi tipi di latticini – di Agerola rigorosamente – e poi la ricotta di fuscella nel suo cestino, i salumi appesi e quelli da taglio dietro alle vetrine, davanti al banco.
E al centro del banco, lui: Emilio o’ bolognese, commesso da sempre in quel negozio storico. Ci accoglieva sorridente e qualche volta ci strizzava l’occhio per indicarci qualcosa di particolarmente sapido da provare immediatamente.
Nella scelta di come imbottire il mezzo sfilatino mi guidava Mario, l’amico del cuore, il sodale nei bagordi, il complice delle fughe d’amore, il buongustaio che mi dava le ricette per i piatti tipici, il “maestro” che mi consigliava le letture, i brani di musica sinfonica, le romanze.
E soprattutto mi faceva innamorare ogni giorno di più di Napoli.
Io ero forestiero e per giunta allevato a prendere le distanze dalla “popolarità” napoletana in tutte le sue accezioni: dialetto, cucina, tradizioni, luoghi. Mario era un napoletano verace, della buona borghesia, abitava in Piazza San Domenico Maggiore, aveva frequentato il prestigioso Liceo Genovesi, amava Napoli per i suoi anfratti e per i suoi splendori, nell’intimità e nello sfoggio.
Ursini era un luogo fuori del tempo ed anche, apparentemente, fuori dalla napoletanità. Un luogo per gourmet ma condivideva con i napoletani il gusto della vita e del piacere che il cibo testimonia.
Ursini ha chiuso. Mario l’ho perso di vista da un pezzo.
Ho abitato a Napoli dal 1954 in sei case diverse di zone disparate. Vomero, Fuorigrotta, Pignasecca, Sanità, Museo.
Ho percorso i milleduecento metri di Via Roma qualche migliaio di volte. Me la sono stampata nel cuore, Napoli, prima di lasciarla nel ’90.
Sono tornato a novembre dello scorso anno per una settimana, per un pellegrinaggio del cuore, a cercare la mia Napoli.
Non l’ho trovata.
Via Roma è diventata una strada turistica, assolutamente uguale a una strada di Barcellona, di qualche quartiere di Parigi e di qualsiasi altra città meta dei turisti.
Chiusi i negozi degli anni sessanta, ovunque street food di cibi tradizionali napoletani, di hot dog, di hamburger-Ketchup- patatine, fa capolino persino qualche sushi bar.
Adesso è una strada diventata un’isola pedonale presidiata da un numero impressionante di divise: dell’esercito, della polizia e dei carabinieri, dei vigli urbani e dei vigilantes. Tutto serve a rassicurare i turisti e sostenere il business.
L’immagine legata a Napoli, infatti, si è ribaltata: adesso è un must passare qualche giorno lì, fare una fila di qualche ora davanti alle pizzerie alla moda, cercare smodatamente come alloggio un “basso” trasformato in B&B o un microscopico appartamentino che non vede mai il sole nei quartieri spagnoli, perchè fa tanto naif. Il Times ha dedicato una copertina alla città, si susseguono i documentari patinati realizzati per le televisioni del mondo, la Coca Cola sbatte sulle lattine la foto di Piazza Plebiscito.
Mi dicono che i napoletani sono felici: un fiume di denaro si è rovesciato sulla città e qualche briciola è arrivata un pò a tutti.
Napoli è e rimarrà per sempre bellissima, adagiata sul mare e abbracciata dal Vesuvio.
Credo però che ciascuno tiene stretta al cuore la “sua versione” di ogni luogo alla quale è affezionato, perchè è arrovogliata con i propri ricordi, con i sogni di gioventù ai quali ha fatto da sfondo.
La mia personale versione di Napoli la si può vedere nelle fotografia in alto: in bianco e nero, con il salumiere in attesa del miracolo economico.
Il miracolo alla fine è venuto e lo ha spazzato via.
(la foto è di “Napoli sparita” che ringrazio sentitamente)
Ho trascorso a Napoli 4 giorni recentemente per dare un assaggio di Napoli ad un mio nipote che aveva espresso questo desiderio. Con mia moglie avevamo individuato per la nostra permanenza a Napoli un appartamentino in una zona a ridosso di piazza Plebiscito, tra Pizzofalcone e Pallonetto S. Lucia; desideravo infatti che mio nipote avesse assaporato in quei giorni anche un po’ di quella di realtà.
La proprietaria dell’appartamento, accennando ad alcuni dettagli della nostra permanenza, ha fatto riferimento a Via Roma e le ho detto che probabilmente io e lei eravamo tra i pochi a chiamare ancora Via Roma l’attuale Via Toledo. Non so se sia proprio così però era tempo che non sentivo nominare “ Via Roma” ed io vado a Napoli due o tre volte ogni anno e ogni qualvolta sento nominare Via Toledo oriento il mio ago magnetico, nella mia pianta storica che mi porto dentro, su via Roma.
Via Roma era una delle mete d’obbligo nelle mie brevi ma ripetute permanenze napoletane. Vi abitava un fratello del mio nonno paterno; altri parenti di quel ramo abitavano a piazza Vanvitelli, a Via Bonito ( con una meravigliosa vista sulla città), a ridosso di piazza Nicola Amore e non so più dove: erano tanti…
Una sorella ed un fratello di mia madre abitavano a S. Lucia ed a Parco Margherita; insomma la città era ben presidiata!..
Ed era un bell’andare soprattutto per funicolari (Centrale, Montesanto, Parco Margherita ) che erano la mia passione da ragazzo. Le ho riprese dopo tanto tempo in questa ultima occasione e ho trovato molti cambiamenti; in particolare io ancora rammentavo i lunghi sedili delle vetture in legno!…una Vita!!
Condivido appieno le considerazioni di Pier in particolare sulle trasformazioni turistico/commerciali della via.
Fortunatamente qualche traccia di “trascorso” ancora s’incontra. Qualche anno fa faceva bella mostra di sé su un balcone a metà strada uno striscione abbastanza grande con la scritta “ QUANNE ‘O PATATERNO FACETTE NAPULE STEVA ‘E GENIO “. Speriamo che dai e dai non Gli rovinino l’opera!!
Dici il vero, Napoli è ormai troppo…lo era anche prima ma era un troppo che ti avvolgeva, che ti prendeva dentro, ti faceva innamorare….ora questo troppo: di gente, di macchine, di rumori, di cibi alieni, di aria pesante annulla quella bella luce della città, quella gente pronta ma anche pigra , pensosa e attiva, quei tesori d’arte che cerchi ancora perché li sai, li hai negli occhi ma ti sfuggono nella bolgia quotidiana. Sì…sono ancora fatta di questo luogo antico e anche pieno di presente. Ma… è stato bello andar via, non vedo l’ora di tornarci… però!