Zanzibar è un luogo di contrasti. E’ il paradiso in terra, un posto che potrebbe essere tra i più ricchi del mondo per la quantità di turisti che ha, eppure dove gran parte della popolazione è ancora al di sotto della soglia di povertà.
Quello che più ricorderò sono i colori incredibili, mai visti prima. Qualsiasi sfumatura possibile di verde e blu dell’acqua, così intensi, ogni giorno e in ogni momento diversi a seconda della marea. Il rosso della terra, il marrone delle case e dei tetti costruiti con foglie di cocco. Il verde degli alti alberi di cocco che si stagliano sul cielo blu, il nero deciso della pelle delle persone.
Su tutto questo spiccano di continuo le fantasie più disparate delle vesti delle donne, sempre coloratissime, sedute fuori alle loro case, o intente a lavare i panni nelle bacinelle, a raccogliere alghe a mare o a portare pesi giganti in bilico sulle loro teste, molte spesso con in braccio bambini piccoli.
A ridosso di quelle spiagge da sogno, tra gli esotici alberi di cocco, la gente vive davvero con poco. Si intravedono case fatiscenti, i bambini sulla spiaggia si divertono a giocare con le ruote delle bici o con i dohw, le loro tipiche barche, in miniatura, fanno a gara con le capriole, e ridono come matti se gli fai vedere foto che li ritraggono, impazziscono se gli dai una bottiglia di acqua o un braccialetto, di quelli che paghiamo pochi euro, o un gioco nuovo da far volare in aria.
E così all’inizio ti senti un po’ un intruso, indesiderato e privilegiato, che va lì a rovinare e magari togliere quel poco che hanno. Inizi a pensare a tutte le cose inutili e superflue che avevi portato dall’Italia. Poi inizi a capire che è possibile avere uno stile di vita molto più semplice del nostro, che è possibile vivere anche al buio, senza corrente elettrica, scalzi, curarsi con i prodotti che ci dà la terra, e avere allo stesso tempo quell’entusiasmo, quell’umiltà e quella gentilezza che nelle nostre città così moderne è ormai impossibile trovare.
Dopo pochi giorni ti abitui, inizi a conoscere tutti nel villaggio, e, anche se il tempo trascorso lì non è molto, inizi a chiederti come farai, una volta tornato, a vivere senza riempirti gli occhi di quei colori e paesaggi, senza addormentarti e svegliarti immerso nei rumori della natura, con il rombo dell’oceano, e delle foglie degli alberi mosse dal vento impetuoso, e di chissà quali animali che corrono sul tetto della camera; a tornare di nuovo ad indossare le scarpe, senza sentire più il tocco della sabbia fresca e morbida sotto i piedi.. e insieme alle scarpe tornare ad indossare la maschera di trucco, e forse non solo quella.. A vivere senza il sorriso e la gentilezza delle persone, che ripetono di continuo hakuna matata e pole pole (nessun problema, piano piano), con i loro saluti lunghissimi a chiedere sempre se andava tutto bene. A vivere ad un ritmo diverso da quello delle maree e della natura.
Giulia Minolfi è una trentenne napoletana che ha scelto di seguire le sue passioni: la fotografia e i viaggi. Cura e gestisce un Blog di viaggi: GmTravelFrames
http://www.gmtravelframes.com
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